L’uso della risorsa idrica per la produzione di energia elettrica nel contesto dell’Alta Valle del fiume Volturno.
Il fiume Volturno, il maggiore corso d’acqua dell’Italia meridionale sia in termini di lunghezza (175 km) che di superficie del bacino di alimentazione (6342 km2), il secondo in raffronto alla portata media annua alla foce, ha origine nel territorio di Rocchetta a Volturno. Le acque della sorgente Capo Volturno sgorgano a circa 548 m s.l.m., con una portata media stimata in 6,6 m3/s (Regione Molise 2002), al piede del Monte della Rocchetta (972 m s.l.m.), quale affioramento dei corpi idrici sotterranei attinenti ai vasti massicci carbonatici che caratterizzano questo lembo di territorio posto tra l’Abruzzo e il Molise. Il bacino di alimentazione della sorgente è costituito dall’unità Monte Genzana – Monte Greco idrogeologicamente connessa alla struttura calcarea del Monte della Rocchetta (Celico 1983). L’affioramento nel territorio di Rocchetta a Volturno della falda acquifera è indotto da una discontinuità nella soglia di permeabilità sovraimposta, generata dai sedimenti arenaceo-marnoso-argillosi del Flysch di Agnone, che tampona per giustapposizione tettonica la roccia calcarea (Filocamo et al 2014). L’andamento della portata sorgentizia denota la capacità regolatrice dell’acquifero e la scarsa correlazione con gli eventi meteo; i valori di magra si attestano sui 4,5 m3/s (Boni et al 2000). A valle dell’area lacustre generata dalle polle sorgentizie, il tracciato fluviale si presenta da subito tortuoso; l’alveo, dapprima orientato verso est, compie una grande ansa verso ovest, lambisce i resti dell’area archeologica di San Vincenzo e ruota verso nord. In prossimità della località La Cartiera, il fiume devia nuovamente verso est per poi volgere definitivamente verso sud. Come evidenziato da Brancaccio (1986), queste anse altro non sono che la conseguenza dell’ostruzione del corso d’acqua operata dalle precipitazioni di carbonato di calcio avvenute negli ultimi 75000 anni; in altri termini, sono proprio le polle sorgive soprassature in idrogenocarbonato di calcio ad aver generato la grande placca di travertino, annoverabile tra i calcareous tufa (Coltorti 2006), estesa 10 km2 e spessa 150-170 m, nota come Piana di Rocchetta. Una grande risorsa idrica, perenne e regolare, posta su un plateau caratterizzato da alte pareti subverticali delimitate da un corso d’acqua: condizioni ideali per produrre energia idroelettrica, che attirarono l’attenzione degli imprenditori impegnati nella corsa al carbone bianco sul finire del XIX secolo, periodo in cui si consolidò, tecnicamente ed economicamente, la trasportabilità territoriale dell’energia elettrica per usi industriali. Il 4 luglio 1892, infatti, la Società Anglo-Romana per l’illuminazione della Capitale era riuscita a realizzare il primo trasporto a lunga distanza dell’energia elettrica, da Tivoli sino a Porta Pia, con una linea di 26 km alla tensione di 5000 V monofase.
È il 1895. L’ing. Francesco Paolo Boubée, già progettista della spettacolare struttura in ferro e vetro che copre la Galleria Umberto I a Napoli, pubblica uno studio di fattibilità per l’utilizzazione dell’energia idraulica della sorgente di Capo Volturno, nel quale evidenzia: Scopo di questo lavoro è dimostrare la possibilità e la convenienza di utilizzare quella enorme forza naturale esistente a circa 100 km dalla nostra città, trasformandola in energia elettrica ed applicandola poscia a svariatissimi usi […]. L’utilizzazione delle grandi forze naturali di cui è ricca la regione montana della nostra Italia, è questo uno de’ maggiori problemi che dev’essere risoluto, e presto, affinché le nostre industrie possano risorgere e rivaleggiare con le potenti industrie dell’estero […]. Rapire fin dalla sorgente dei nostri fiumi […] la energia dinamica che ora vanno disperdendo rapidamente […] immagazzinarla, trasportarla a distanze anche considerevoli, ovunque possa occorrere forza motrice. La soluzione progettuale prevedeva la derivazione di tutta l’acqua del Volturno con uno sbarramento posto a circa 1400 m dalle sorgenti e la realizzazione di un canale sino al bordo orientale della Piana di Rocchetta ove, con un salto di circa 130 m, le condotte forzate avrebbero alimentato l’officina di produzione posta al di là della Strada Nazionale, in prossimità del Volturno. Lo studio ipotizzava il convogliamento dell’energia prodotta sino alla stazione di Cassino, per poter elettrificare la trazione della linea ferroviaria Napoli – Roma. Il costo totale dell’impianto venne stimato in 9.500.000 lire. Nel 1898 l’ing. Angelo Tonso, sulla falsariga delle considerazioni tecniche del Boubée, elabora un dettagliato progetto per la produzione di energia elettrica da trasportare da Rocchetta a Napoli. Come è noto, l’innovazione tecnologica e le vantaggiose condizioni per la derivazione di acque pubbliche indussero il proliferare di società elettriche, ampiamente sostenute dalle banche dell’epoca. Nel 1899 nasce la S.M.E. (Società Meridionale di Elettricità), colosso imprenditoriale supportato da capitali svizzeri, per la costruzione e l’esercizio di impianti idroelettrici. In tale contesto, la Reale Commissione per l’incremento industriale della città di Napoli, di cui facevano parte, tra gli altri, personaggi del calibro di Giovanni Battista Pirelli e Angelo Salmoiraghi, attribuì alle sorgenti del Volturno il gravoso compito di fornire una soluzione tecnica alla questione meridionale (Cento 2015): «[…] che siano concedute a Napoli gratuitamente e perpetuamente le sorgenti del Capo Volturno in territorio di Rocchetta, poiché la forza motrice ricavata sia data in vantaggio delle industrie esistenti o da sorgere in Napoli». Di fatto, la tesi presa in considerazione nel 1903 dalla Commissione fu quella riformista di Francesco Saverio Nitti, fautore di un riequilibrio territoriale basato sull’industrializzazione del Meridione e sull’appropriazione pubblica di grandi forze motrici. Il dibattito parlamentare per l’approvazione della legge speciale per Napoli fu serrato; nella seduta del 29 giugno 1904, il deputato molisano Edoardo Cimorelli ebbe ad affermare: «[…] tutta questa ricchezza viene concessa a Napoli… ed alla mia regione non viene dato nulla! e pure le sorgenti del Volturno sgorgano nel verdeggiante piano di Rocchetta, che fa parte del mio collegio. Date pure a Napoli tanto tesoro di energia elettrica, ma riserbatene una parte alle mie contrade!».
Con il rigetto integrale dell’emendamento per il ristoro dei comuni di Castellone al Volturno e di Venafro tramite una compensazione stimata in meno del 2% della potenza installabile e l’applicazione di un criterio meno restrittivo per la valutazione dei fondi da espropriare, l’8 luglio 1904 venne promulgata la legge per il risorgimento economico della città di Napoli, con la quale Il Governo è autorizzato a concedere a perpetuità e gratuitamente al municipio di Napoli la facoltà di derivare tutta la forza idraulica, dipresso a 16.000 cavalli, ricavabile dalle sorgenti del Volturno, situate alla quota di 548 metri sul livello del mare, in territorio di Rocchetta, provincia di Campobasso, allo scopo di condurre la forza predetta, trasformata in energia elettrica, nel territorio del comune di Napoli, in base a progetto tecnico da compilarsi e approvarsi […]. Le cause vertenti circa la demanialità di tali acque saranno sostenute a cura dello Stato […]. L’opera è dichiarata di pubblica utilità […].
Per la costruzione e l’esercizio dell’opera venne creato l’Ente Autonomo Volturno (E.A.V), prototipo di azienda pubblica per un inedito Stato imprenditore (Cento 2015). Il Consiglio Generale di Amministrazione, presieduto dal sindaco di Napoli, nominò alla direzione tecnica dell’Ente l’ingegnere Giuseppe Domenico Cangia, che coordinò le progettazioni degli impianti e del sistema di trasporto dell’energia (Parisi 2011). I lavori, tuttavia, vennero ritardati dal contenzioso sulla proprietà delle sorgenti, tra i comuni di Rocchetta a Volturno, Castellone a Volturno e la Provincia di Campobasso, che si concluse nel 1909 con la firma del Contratto di Transazione tra il legittimo proprietario, il Comune di Rocchetta, e l’E.A.V. (Comune di Rocchetta a Volturno 1909). Il progetto dell’E.A.V. contempla uno sbarramento in muratura lungo 26 m, posto a circa 500 m dalle sorgenti, a destra del quale si rinviene l’opera di presa a quattro bocche, una vasca con sfioratore e un incile a quattro luci. Il canale di adduzione è per 2150 m in galleria artificiale. Il bacino di carico, in località Case Sparse, alimenta tre condotte forzate con diametro decrescente (da 1,6 m a 1,2 m) e lunghezza pari a 790 m; parallelamente ad esse è posta la tubazione di scarico e i binari di una funicolare di servizio. Le condotte, fornite dalla Tubi Togni di Brescia, terminano in un collettore dal quale si diramano le alimentazioni per le turbine. L’officina generatrice, posta sulla sponda sinistra del Rivolo di Rocchetta, accoglie la sala macchine allestita con quattro gruppi turbina-alternatore (ciascuno dei quali composto da una turbina tipo Francis ad asse orizzontale fornita dalla Costruzioni Metalliche Riva di Milano, di potenza nominale pari a 5000 kW alla portata di 3400 l/s e una caduta utile di 190 m, accoppiata ad un alternatore fornito dalla Tecnomasio Italiano Brown Boveri), due gruppi di eccitazione turbinadinamo e un carroponte elettrico; in aderenza è ubicata l’area che ospita i trasformatori trifase in cassoni d’olio, ognuno di potenza pari a 6350 kVA, i quadri elettrici e l’officina riparazioni. Completata la costruzione dello stabilimento e della centrale ricevitrice di Napoli, il 6 gennaio 1916 l’E.A.V., dopo aver connesso, per le necessità della mobilitazione industriale di guerra, la centrale di Rocchetta all’elettrodotto proveniente dagli impianti S.M.E. sul fiume Pescara, fu in grado di erogare il suo primo kWh nella città partenopea (Comune di Rocchetta a Volturno 2009).
A regime, l’energia venne trasmessa sotto forma di corrente trifase a 60000 V mediante una linea dedicata, posta in esercizio il 9 maggio 1920, composta da 527 pali a traliccio con catene di isolatori in sospensione a servizio di due terne di conduttori in rame, una campata media di 183 m e un’altezza fuori terra di 19,30 m. Le attività dell’E.A.V. erano ovviamente in concorrenza con quelle della S.M.E., la cui strategia di crescita aziendale convergeva proprio sull’area abruzzese-molisana, caratterizzata da una diffusa presenza di piccoli impianti protoindustriali a energia idraulica (mulini, gualchiere, ecc.) che fra ‘800 e ‘900 rappresentarono i contesti naturali per attuare la conversione, in situ, dall’idromeccanico all’idroelettrico (Zilli in Castagnoli Pietrunti 2014). Peraltro, nel periodo successivo alla Grande Guerra, la S.M.E., amministrata da Maurizio Capuano e diretta dal 1919 da Giuseppe Cenzato, aveva intrapreso, con il supporto progettuale dell’ing. Angelo Omodeo, lo sfruttamento seriale delle risorse idriche del bacino del Volturno attinenti al versante campano del massiccio del Matese. Nel 1934 l’E.A.V. riuscì comunque a portare a compimento, in agro di Colli a Volturno, la costruzione di una seconda centrale (Volturno II Salto), posta a valle del primo impianto (Volturno I Salto). L’opera si caratterizza, oltre che per l’interconnessione automatica dei gruppi generatori dei due impianti, per una condotta forzata in cemento armato realizzata con un sistema di appoggi brevettato, lunga 883 m, che connette il pozzo di carico della centrale principale con il distributore delle turbine della centrale sussidiaria. Alla progettazione della centrale collaborò l’arch. Frediano Frediani, dal 1925 dipendente dell’E.A.V. (De Cristofaro 2016), che venne incaricato, nel 1937, anche del rilievo dell’acquedotto romano di Venafro. Nel dopoguerra, all’attività di riparazione delle strutture preesistenti, gravemente danneggiate sul finire del 1943 dalle forze tedesche in ritirata, si sovrappose l’esigenza di soddisfare la crescente richiesta di energia. Tra il 1948 e il 1958 l’E.A.V., sotto la guida dell’ing. Luigi D’Amelio e la direzione tecnica dell’ing. Guido Bourelly, elabora e concretizza un ambizioso piano generale di utilizzazione della risorsa idrica della parte apicale del bacino dell’Alto Volturno. Il nuovo schema, denominato Rio Torto, prevede la costruzione, in località Montagna Spaccata del Comune di Alfedena, di un’opera idraulica di regolazione dei deflussi rilasciati dai Monti della Meta, tramite tre distinte dighe in grado di circoscrivere un bacino artificiale da 9 Mm3. Quota parte del volume invasato viene allontanato dal bacino naturale, quello del fiume Sangro, e trasportato, per circa 6 km, nella valle del Rio Jemmare, affluente del Volturno; in prossimità dell’abitato di Pizzone le condotte forzate alimentano la centrale denominata Rio Torto II Salto. Le acque turbinate vengono quindi convogliate a pelo libero, tramite una galleria sotterranea nel bacino del Rio Salzera, in agro di Castel San Vincenzo; qui, una diga in terra di 400000 m3 sbarra il percorso del Rio generando un invaso da 5,6 Mm3. L’opera di presa si protrae in una galleria scavata nella roccia sino a raggiungere la condotta di alimentazione dell’unica turbina presente nella centrale sottostante, nota come Rio Torto III Salto. Infine, nel bacino dell’adiacente sorgente Capo Volturno viene immesso lo scarico dello stabilimento. La centrale di Capo Volturno, pertanto, è il nodo fondamentale del sistema idraulico della valle, collegando il nuovo schema a quello iniziale. La progettazione e la direzione dei lavori vennero affidate all’ing. Pietro Vecellio, con la consulenza geotecnica del prof. Arrigo Croce; le indagini geologiche furono affidate al prof. Francesco Penta. Nel gennaio del 1960, l’ing. Manlio Roscia, subentrato al Bourelly nella direzione dell’E.A.V., poté comunicare al Ministero dei Lavori Pubblici il compimento del piano di investimenti post-bellico, con l’entrata in funzione di tutti gli impianti. Dalla nazionalizzazione del 1962 ad oggi le opere hanno subito significative trasformazioni e adeguamenti, in particolare nelle componenti elettromeccaniche, con il miglioramento dei rendimenti di produzione e l’ottimizzazione gestionale, grazie all’automazione e al telecontrollo.
L’uso industriale della sorgente Capo Volturno ha rappresentato per l’intera valle un fattore di profonda trasformazione, contrassegnato da una rapida variazione di equilibri naturali, sociali ed economici, dalla modifica irreversibile dei luoghi e dalla diversificazione dei quadri percettivi locali. L’infrastrutturazione elettrica ha senz’altro costituito «uno degli elementi più consistenti del cambiamento del paesaggio […]. Dobbiamo immaginarci… la meraviglia che dovette provare la popolazione molisana di fronte a queste innovazioni tecnologiche » (Manfredi Selvaggi in Castagnoli Pietrunti 2014). È tuttavia evidente la peculiare capacità delle grandi opere idroelettriche della prima metà del XX secolo di produrre nuovi paesaggi. A oltre cent’anni dalla derivazione di Capo Volturno e dalla costruzione della prima centrale, il paesaggio elettrico dell’Alta Valle del Volturno manifesta oggi una propria leggibilità, ennesima stratificazione di ininterrotte sequenze antropiche. Negli ultimi decenni, al sistema di produzione dell’energia idroelettrica si è associato lo schema per l’uso irriguo della risorsa da parte del Consorzio di Bonifica della Piana di Venafro: in località Macchie, ove lo scarico della centrale sussidiaria è convogliato con una galleria posta alla base di Monte San Paolo, il Volturno viene intercettato da una traversa per il prelievo della portata concessa (1,87 m3/s). A valle del Ponte degli Americani, il Volturno, dopo più di 4 km di libera divagazione, è accolto dalla vasca di laminazione di Ripaspaccata, realizzata negli anni ‘80, e da un piccolo impianto idroelettrico (650 kW). Il fiume, infine, nel tratto in cui demarca il confine amministrativo con la Regione Campania, è nuovamente sbarrato in località Le Mortine. Il mare è ancora lontano per le acque di Capo Volturno.
Per la costruzione e l’esercizio dell’opera venne creato l’Ente Autonomo Volturno (E.A.V), prototipo di azienda pubblica per un inedito Stato imprenditore (Cento 2015). Il Consiglio Generale di Amministrazione, presieduto dal sindaco di Napoli, nominò alla direzione tecnica dell’Ente l’ingegnere Giuseppe Domenico Cangia, che coordinò le progettazioni degli impianti e del sistema di trasporto dell’energia (Parisi 2011). I lavori, tuttavia, vennero ritardati dal contenzioso sulla proprietà delle sorgenti, tra i comuni di Rocchetta a Volturno, Castellone a Volturno e la Provincia di Campobasso, che si concluse nel 1909 con la firma del Contratto di Transazione tra il legittimo proprietario, il Comune di Rocchetta, e l’E.A.V. (Comune di Rocchetta a Volturno 1909). Il progetto dell’E.A.V. contempla uno sbarramento in muratura lungo 26 m, posto a circa 500 m dalle sorgenti, a destra del quale si rinviene l’opera di presa a quattro bocche, una vasca con sfioratore e un incile a quattro luci. Il canale di adduzione è per 2150 m in galleria artificiale. Il bacino di carico, in località Case Sparse, alimenta tre condotte forzate con diametro decrescente (da 1,6 m a 1,2 m) e lunghezza pari a 790 m; parallelamente ad esse è posta la tubazione di scarico e i binari di una funicolare di servizio. Le condotte, fornite dalla Tubi Togni di Brescia, terminano in un collettore dal quale si diramano le alimentazioni per le turbine. L’officina generatrice, posta sulla sponda sinistra del Rivolo di Rocchetta, accoglie la sala macchine allestita con quattro gruppi turbina-alternatore (ciascuno dei quali composto da una turbina tipo Francis ad asse orizzontale fornita dalla Costruzioni Metalliche Riva di Milano, di potenza nominale pari a 5000 kW alla portata di 3400 l/s e una caduta utile di 190 m, accoppiata ad un alternatore fornito dalla Tecnomasio Italiano Brown Boveri), due gruppi di eccitazione turbinadinamo e un carroponte elettrico; in aderenza è ubicata l’area che ospita i trasformatori trifase in cassoni d’olio, ognuno di potenza pari a 6350 kVA, i quadri elettrici e l’officina riparazioni. Completata la costruzione dello stabilimento e della centrale ricevitrice di Napoli, il 6 gennaio 1916 l’E.A.V., dopo aver connesso, per le necessità della mobilitazione industriale di guerra, la centrale di Rocchetta all’elettrodotto proveniente dagli impianti S.M.E. sul fiume Pescara, fu in grado di erogare il suo primo kWh nella città partenopea (Comune di Rocchetta a Volturno 2009). A regime, l’energia venne trasmessa sotto forma di corrente trifase a 60000 V mediante una linea dedicata, posta in esercizio il 9 maggio 1920, composta da 527 pali a traliccio con catene di isolatori in sospensione a servizio di due terne di conduttori in rame, una campata media di 183 m e un’altezza fuori terra di 19,30 m. Le attività dell’E.A.V. erano ovviamente in concorrenza con quelle della S.M.E., la cui strategia di crescita aziendale convergeva proprio sull’area abruzzese-molisana, caratterizzata da una diffusa presenza di piccoli impianti protoindustriali a energia idraulica (mulini, gualchiere, ecc.) che fra ‘800 e ‘900 rappresentarono i contesti naturali per attuare la conversione, in situ, dall’idromeccanico all’idroelettrico (Zilli in Castagnoli Pietrunti 2014). Peraltro, nel periodo successivo alla Grande Guerra, la S.M.E., amministrata da Maurizio Capuano e diretta dal 1919 da Giuseppe Cenzato, aveva intrapreso, con il supporto progettuale dell’ing. Angelo Omodeo, lo sfruttamento seriale delle risorse idriche del bacino del Volturno attinenti al versante campano del massiccio del Matese. Nel 1934 l’E.A.V. riuscì comunque a portare a compimento, in agro di Colli a Volturno, la costruzione di una seconda centrale (Volturno II Salto), posta a valle del primo impianto (Volturno I Salto). L’opera si caratterizza, oltre che per l’interconnessione automatica dei gruppi generatori dei due impianti, per una condotta forzata in cemento armato realizzata con un sistema di appoggi brevettato, lunga 883 m, che connette il pozzo di carico della centrale principale con il distributore delle turbine della centrale sussidiaria. Alla progettazione della centrale collaborò l’arch. Frediano Frediani, dal 1925 dipendente dell’E.A.V. (De Cristofaro 2016), che venne incaricato, nel 1937, anche del rilievo dell’acquedotto romano di Venafro. Nel dopoguerra, all’attività di riparazione delle strutture preesistenti, gravemente danneggiate sul finire del 1943 dalle forze tedesche in ritirata, si sovrappose l’esigenza di soddisfare la crescente richiesta di energia. Tra il 1948 e il 1958 l’E.A.V., sotto la guida dell’ing. Luigi D’Amelio e la direzione tecnica dell’ing. Guido Bourelly, elabora e concretizza un ambizioso piano generale di utilizzazione della risorsa idrica della parte apicale del bacino dell’Alto Volturno. Il nuovo schema, denominato Rio Torto, prevede la costruzione, in località Montagna Spaccata del Comune di Alfedena, di un’opera idraulica di regolazione dei deflussi rilasciati dai Monti della Meta, tramite tre distinte dighe in grado di circoscrivere un bacino artificiale da 9 Mm3. Quota parte del volume invasato viene allontanato dal bacino naturale, quello del fiume Sangro, e trasportato, per circa 6 km, nella valle del Rio Jemmare, affluente del Volturno; in prossimità dell’abitato di Pizzone le condotte forzate alimentano la centrale denominata Rio Torto II Salto. Le acque turbinate vengono quindi convogliate a pelo libero, tramite una galleria sotterranea nel bacino del Rio Salzera, in agro di Castel San Vincenzo; qui, una diga in terra di 400000 m3 sbarra il percorso del Rio generando un invaso da 5,6 Mm3. L’opera di presa si protrae in una galleria scavata nella roccia sino a raggiungere la condotta di alimentazione dell’unica turbina presente nella centrale sottostante, nota come Rio Torto III Salto. Infine, nel bacino dell’adiacente sorgente Capo Volturno viene immesso lo scarico dello stabilimento. La centrale di Capo Volturno, pertanto, è il nodo fondamentale del sistema idraulico della valle, collegando il nuovo schema a quello iniziale. La progettazione e la direzione dei lavori vennero affidate all’ing. Pietro Vecellio, con la consulenza geotecnica del prof. Arrigo Croce; le indagini geologiche furono affidate al prof. Francesco Penta. Nel gennaio del 1960, l’ing. Manlio Roscia, subentrato al Bourelly nella direzione dell’E.A.V., poté comunicare al Ministero dei Lavori Pubblici il compimento del piano di investimenti post-bellico, con l’entrata in funzione di tutti gli impianti. Dalla nazionalizzazione del 1962 ad oggi le opere hanno subito significative trasformazioni e adeguamenti, in particolare nelle componenti elettromeccaniche, con il miglioramento dei rendimenti di produzione e l’ottimizzazione gestionale, grazie all’automazione e al telecontrollo. L’uso industriale della sorgente Capo Volturno ha rappresentato per l’intera valle un fattore di profonda trasformazione, contrassegnato da una rapida variazione di equilibri naturali, sociali ed economici, dalla modifica irreversibile dei luoghi e dalla diversificazione dei quadri percettivi locali.
L’infrastrutturazione elettrica ha senz’altro costituito «uno degli elementi più consistenti del cambiamento del paesaggio […]. Dobbiamo immaginarci… la meraviglia che dovette provare la popolazione molisana di fronte a queste innovazioni tecnologiche » (Manfredi Selvaggi in Castagnoli Pietrunti 2014). È tuttavia evidente la peculiare capacità delle grandi opere idroelettriche della prima metà del XX secolo di produrre nuovi paesaggi. A oltre cent’anni dalla derivazione di Capo Volturno e dalla costruzione della prima centrale, il paesaggio elettrico dell’Alta Valle del Volturno manifesta oggi una propria leggibilità, ennesima stratificazione di ininterrotte sequenze antropiche. Negli ultimi decenni, al sistema di produzione dell’energia idroelettrica si è associato lo schema per l’uso irriguo della risorsa da parte del Consorzio di Bonifica della Piana di Venafro: in località Macchie, ove lo scarico della centrale sussidiaria è convogliato con una galleria posta alla base di Monte San Paolo, il Volturno viene intercettato da una traversa per il prelievo della portata concessa (1,87 m3/s). A valle del Ponte degli Americani, il Volturno, dopo più di 4 km di libera divagazione, è accolto dalla vasca di laminazione di Ripaspaccata, realizzata negli anni ‘80, e da un piccolo impianto idroelettrico (650 kW). Il fiume, infine, nel tratto in cui demarca il confine amministrativo con la Regione Campania, è nuovamente sbarrato in località Le Mortine. Il mare è ancora lontano per le acque di Capo Volturno.
Fonte: ArcheoMolise N°33 – ANNO X – Articolo di DAMIANO SANTILLO
Bibliografia
Diritti d’autore: Associazione Culturale ArcheoIdea
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