Noto ormai da anni alla comunità scientifica internazionale degli studi sulla preistoria,
il sito di Grotta Reali non è nuovo ai lettori di vecchia data di ArcheoMolise; tuttavia, per chi s’è accostato da poco – o solo oggi – alla rivista, non sarà cosa facile recuperare l’ormai raro suo primo numero, risalente al 2009, che ospitava un ampio articolo dedicato al sito. Si è dunque pensato di riproporlo con minimi, necessari ritocchi e integrazioni relativi alla datazione del sito, un aggiornamento bibliografico e iconografico e pochissime risciacquature in Arno.
Introduzione
Tra i 150.000 e i 27.000 anni fa circa, la vasta area geografica che dalla penisola iberica si estende sino al Medio Oriente e all’Asia occidentale vide svolgersi la vicenda di Homo neanderthalensis, forma umana tipicamente europea discendente dalle più antiche popolazioni del Pleistocene medio, raggruppate nella specie H. heidelbergensis.
Gli ultimi scorci di vita dei neandertaliani si sovrapposero alla vicenda di Homo sapiens, giunto in Europa 40.000 anni fa ca. A partire da questa data e sino alla definitiva scomparsa dell’Uomo di Neandertal – che si data attualmente a poco meno di 30 Ka BP –, le due specie convissero, occupando le stesse nicchie ecologiche, come dimostrano i tanti siti pluristratificati europei, che testimoniano di occupazioni successive o alternate di gruppi neandertaliani e sapiens.
Il sito di Grotta Reali a Rocchetta a Volturno, con la sua datazione a 50-40.000 anni BP, occupa le ultime fasi del Paleolitico medio, inserendosi con significativa carica documentaria nel dibattito sulla transizione tra i complessi tecnologici musteriani e quelli del Paleolitico superiore, che si diffusero in Europa con l’arrivo dell’Uomo anatomicamente moderno e soppiantarono i primi dopo più di diecimila anni di convivenza.
Grotta Reali
Grotta Reali (fig. 1) è ubicata poco lontano dalle sorgenti del Volturno, a circa 500 metri s.l.m, in località Olivella, presso l’abitato di Rocchetta Nuova. Individuato nel corso di passeggiate archeologiche dall’amatore Pierluigi Berardinelli nel 2001, il sitoè stato indagato a partire dall’anno successivo, sotto la direzione del prof. Carlo Peretto dell’Università di Ferrara. Gli interventi sistematici di scavo, attivati tra il 2005 e i 2007, hanno portato a tracciare un quadro complessivo delle modalità di formazione del deposito e delle dinamiche occupazionali. Il sito si apre in una parete di tufi calcarei
parzialmente erosa dalle attività di cava che si sono susseguite dal 1971 ai primi anni ’90, le quali, pur avendo agito fortuitamente nel disvelamento del deposito, hanno limitato la leggibilità della sua morfologia originaria; sembra tuttavia condivisibile che si trattasse di una grotta di piccole dimensioni e poco aggettante, la cui natura ricalcherebbe i modelli di alcuni siti in formazione eurasiatici, quali Pamukkale in Turchia e Plitvice in Croazia (fig. 2). Le ricostruzioni geomorfologiche concordano nel descrivere un sistema a gradini lago/cascata che avrebbe indotto la progressiva formazione di travertino: le tante grotte presenti nell’area non sarebbero dunque altro che antri dietro le cascate. La deposizione di questi calcareous tufa (denominazione preferibile a quella classica di “travertini”, indicando questi ultimi soltanto i depositi d’acqua calda, non quelli d’acqua fredda) sembra si sia susseguita, con pause periodiche, da 75.000 a 4.000 anni fa.
Grotta Reali sarebbe stata occupata da gruppi neandertaliani in un periodo di interruzione e migrazione della deposizione dei tufa, verosimilmente durante l’ultimo Interglaciale, in due fasi separate da intervalli di non frequentazione e di riattivazione dei meccanismi di sedimentazione. All’interno della serie stratigrafica (fig. 3) si riconoscono infatti due livelli antropizzati (US 5 e US 2β-2γ), tra i quali sarebbe intercorsa una pausa di 5-10.000 anni, individuata dalle US naturali 3 e 4, corrispondenti ad una lunga fase di ripresa dei meccanismi erosivi. In accordo con le più recenti datazioni radiometriche, ottenute nei laboratori del Max Planck Institute di Leipzig (Germania) e in corso di pubblicazione, l’occupazione più antica (US 5) risalirebbe a 50-45.000 anni fa, quella successiva (US 2β-2γ) a circa 40.000. I livelli sono definiti da numerosi manufatti in selce, da alcuni frammenti ossei e da due focolari (figg. 4, 5, 6).
Sembra che, dopo il suo abbandono da parte dell’uomo, la grotta sia stata occupata dai carnivori, giacché negli orizzonti più recenti (US 1 e US 2abc) le tracce legate alla loro attività prevalgono su quelle antropiche.
Le faune
Le specie faunistiche presenti indicano un ambiente boschivo, con alternanza di zone più aperte e di acque libere. Gli erbivori (cervo, capriolo, cavallo…) sono prevalenti; la presenza di resti di lupo, iena, orso, volpe – più influente nei livelli superiori – si spiegherebbe con l’idea che i carnivori cercassero riparo nella grotta durante i periodi di assenza dell’uomo. L’analisi dei resti provenienti dai livelli antropici sembra indicare che nella genesi dell’accumulo abbia giocato un ruolo primario l’attività dell’uomo.
Alcuni frammeni mostrano infatti tracce legate alla macellazione, quali le strie originate dallo scorrimento del margine tagliente di uno strumento litico (Fig. 7) e gli incavi procurati dalla fratturazione. A monte vi sarebbero attività di trattamento delle carcasse a scopo alimentare successive alla caccia (disarticolazione, fratturazione su osso fresco per il recupero del midollo etc.).
I manufatti
Grotta Reali ha restituito un totale di circa 8000 manufatti in selce, alcuni dei quali raccolti, all’indomani della scoperta, nei depositi rimaneggiati formatisi ai piedi della grotta dopo il crollo.
I livelli archeologici – su tutti l’US 5 – presentano una forte densità di industria litica. Il fatto che, tra uno strato e l’altro, non si registrino divergenze di gran conto nella composizione tecnologica, suggerisce che, nelle due fasi di occupazione, i gruppi neandertaliani abbiano adottato, per la produzione dei loro utensili, la stessa tecnologia. Ciò non meraviglia, se si rievoca la sostanziale stabilità tecnologica che caratterizza il Musteriano nel corso di più di 100.000 anni di evoluzione.
Per lo studio dell’industria litica è stato preso a modello il metodo di analisi tecnologica – portato in auge in Francia tra gli anni ’60 e ’70 – il cui obiettivo, in sintesi, è quello di ricostruire l’intero processo di produzione dei manufatti (la “chaine operatoire” di Leroi-Gourhan), dall’acquisizione della materia prima sino all’abbandono degli oggetti nel sito, e di distinguere le scelte tecniche operate dall’uomo per l’ottenimento degli utensili. Un orientamento cognitivo che, all’analisi stilistica e tipologica, preferisce un approccio “genetico”, in cui si guarda al singolo elemento come parte di un sistema in cui esso è legato da rapporti di causa ed effetto a ciò che lo precede e a ciò che lo segue; il fine ultimo è risalire al progetto mentale che è a monte del processo operativo.
L’industria è confezionata su selce locale. Se ne trae che i gruppi umani compissero brevi spostamenti per approvvigionarsi di materia prima: nel corso di ricognizioni geoarcheologiche sono stati riconosciuti due probabili siti di raccolta, a ca. 2 Km dall’insediamento, nelle località Colle Papa e Colle della Forca.
La selce veniva trasportata al sito in forma greggia e lì sgrossata e lavorata. Tutte le fasi della catena operativa, dunque, si svolgevano sul sito. Nei livelli archeologici sono infatti presenti elementi appartenenti ai diversi stadi: schegge di decorticazione e sgrossatura, sottoprodotti di messa in forma del nucleo, scarti di lavorazione, prodotti finiti, nuclei. I numerosi rimontaggi (insiemi di due o più elementi litici tra loro raccordabili poiché appartenenti a un unico blocco originario) confermano che la scheggiatura avveniva in situ (fig. 8).
La tecnica di scheggiatura utilizzata era la percussione diretta con percussore di pietra, mentre la concezione del nucleo si traduceva nell’applicazione
di diversi metodi di lavorazione, adottati in relazione agli obiettivi volta per volta ricercati.
Al di là degli obiettivi specifici, sembra che lo scopo principale degli artigiani di Grotta Reali fosse l’ottenimento del maggior numero di schegge nel
minor tempo possibile. Non a caso il metodo più frequentemente adottato, che definiamo “opportunista”, prevedeva che il nucleo fosse lavorato senza una particolare messa in forma, sfruttando gli angoli e i piani naturalmente esposti, allo scopo di trarne il massimo profitto. Un più complesso controllo della geometria del nucleo illustrava invece i metodi definiti “con predeterminazione”, come il metodo Levallois, basato su una sapiente gestione delle convessità del nucleo, e il metodo discoide, anch’esso fondato sul mantenimento di una convessità; di particolare rilievo è poi la presenza di lame ottenute tramite metodo laminare (fig. 9), tecnologia classicamente ritenuta esclusiva di H. sapiens e finora descritta, per il Paleolitico medio italiano, in una manciata di complessi dell’Italia settentrionale.
Schegge e lame raramente venivano ritoccate (modificate cioè lungo i margini), a creare i tipici strumenti del Musteriano: raschiatoi, incavi, denticolati; ciò significa che le attività svolte sul sito non richiedevano, se non in casi specifici, bordi modificati, visto che il taglio meglio si giovava di margini vivi.
L’abbondanza degli utensili si spiegherebbe, dunque, anche con l’eventualità che una scheggia, dopo pochi minuti di attività, perdesse il filo e dovesse essere sostituita da un nuovo supporto.
Quadro d’insieme
Tra 50.000 e 40.000 anni fa gruppi tardi di neandertaliani si insediarono a più riprese nelle vicinanze delle sorgenti del Volturno, nel territorio di Rocchetta a Volturno. L’area offriva diversi vantaggi all’installazione di campi-base e bivacchi: presenza di acqua, animali da cacciare, selce per la produzione di utensili e anfratti naturali in cui trovare riparo. Una delle tante grotte della zona, Grotta Reali, ha restituito in anni recenti importanti testimonianze della presenza di neandertaliani, che occuparono il sito in due fasi distinte. Al suo interno essi scheggiavano la pietra, macellavano
gli animali cacciati, accendevano fuochi. Si trattava probabilmente di una stazione temporanea, più che di un insediamento stabile, visto che la
grotta, costantemente interessata da fenomeni di percolazione e dalla presenza di veli d’acqua in parete, pativa una certa umidità ed era dunque poco ospitale. Di lì a poche migliaia di anni i neandertaliani sarebbero stati scalzati dall’Homo sapiens, che aveva iniziato a colonizzare la penisola intorno ai 40.000 anni dal presente. Grotta Reali restituisce appunto uno degli ultimi momenti dell’esistenza dell’Uomo di Neandertal in Italia.
Fonte: ArcheoMolise N°33 – ANNO X – Articolo di ETTORE RUFO, GIUSEPPE LEMBO, MARTA ARZARELLO, URSULA THUN HOHENSTEIN, CARLO PERETTO
Bibliografia
Diritti d’autore: Associazione Culturale ArcheoIdea
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